Il testamento di Tito di Fabrizio De André

Voglio commentare  il testo di  una delle più belle canzoni italiane scritta dal grandissimo cantautore Fabrizio De Andrè  perchè, per i più giovani, può essere di difficile comprensione.

L’altro giorno, mio figlio Gianfilippo, che ha da poco compiuto diciotto anni, mi ha fatto sentire la canzone “Il testamento di Tito” del grande cantautore Frabrizio de Andrè e mi ha chiesto di spiegargliela. Ho cercato di soddisfare questa sua richiesta e vi assicuro che non è stato per niente facile perchè nè è scaturita una discussione che ci ha impegnati per quasi un’ora. E’ un testo bellissimo e densissimo di significato che va però contestualizzato nel periodo in cui la canzone è stata scritta

La canzone fa parte dell’album intitolato La buona Novella. De André, alla domanda che gli fu posta sul perchè aveva composto quest’album dedicato alla figura di Gesù Cristo rispose:  “Perché Gesù è il più grande rivoluzionario della storia”.

Nella canzone c’è la denuncia di tutto il male e le ipocrisie che erano presenti nella società al tempo in cui fu scritta; denuncia e ipocrisie presenti in gran parte anche oggi.

Ricordando uno per uno i Dieci Comandamenti, De Andre magistralmente riporta, per ciascuno di essi, il suo giudizio  riguardo a come gli uomini abbiano ipocritamente strumentalizzato gli stessi, distorcendone il significato originario per asservirli ai loro interessi, che sono spesso di natura opposta allo spirito con cui Dio li ha dati agli uomini.

L’iperbole della critica spietata viene mitigata dall’ultima strofa del testo della canzone in cui il cantautore riconosce che nonostante tutto nel Cristo crocifisso egli ha riconoscituto il significato vero della parola amore.

La strofa iniziale basta da sola a demolire tutte le tesi a favore degli scontri di civiltà. Ma anche nelle altre strofe si combatte una battaglia di pace, contro ogni oppressione di un potere che usa ogni cosa (la famiglia, la religione, il denaro) per creare disuguaglianza e dolore. Non a caso queste parole sono affidate a un “ultimo”; Tito appunto un reietto, un delinquente, uno dei due ladroni crocifisso insieme a Gesù ( secondo i vangeli apocrifi).

Non avrai altro Dio, all’infuori di me,
spesso mi ha fatto pensare:
genti diverse, venute dall’est
dicevan che in fondo era uguale.
Credevano a un altro diverso da te,
e non mi hanno fatto del male.
Credevano a un altro diverso da te
e non mi hanno fatto del male.

Non nominare il nome di Dio,
non nominarlo invano.
Con un coltello piantato nel fianco
gridai la mia pena e il suo nome:
ma forse era stanco, forse troppo occupato
e non ascoltò il mio dolore.
Ma forse era stanco, forse troppo lontano
davvero, lo nominai invano.

Onora il padre. Onora la madre
e onora anche il loro bastone,
bacia la mano che ruppe il tuo naso
perché le chiedevi un boccone:
quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.
Quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.

Ricorda di santificare le feste.
Facile per noi ladroni
entrare nei templi che rigurgitan salmi
di schiavi e dei loro padroni
senza finire legati agli altari
sgozzati come animali.
Senza finire legati agli altari
sgozzati come animali.

Il quinto dice “non devi rubare”
e forse io l’ho rispettato
vuotando in silenzio, le tasche già gonfie
di quelli che avevan rubato.
Ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri, nel nome di Dio.
Ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri, nel nome di Dio.

Non commettere atti che non siano puri
cioè non disperdere il seme.
Feconda una donna ogni volta che l’ami, così sarai uomo di fede:
poi la voglia svanisce ed il figlio rimane
e tanti ne uccide la fame.
Io, forse, ho confuso il piacere e l’amore,
ma non ho creato dolore.

Il settimo dice “non ammazzare”
se del cielo vuoi essere degno.
guardatela oggi, questa legge di Dio,
tre volte inchiodata nel legno.
guardate la fine di quel nazareno,
e un ladro non muore di meno.
Guardate la fine di quel nazareno,
e un ladro non muore di meno.

Non dire falsa testimonianza
e aiutali a uccidere un uomo.
Lo sanno a memoria il diritto divino
e scordano sempre il perdono.
Ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore.
Ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore.

Non desiderare la roba degli altri,
non desiderarne la sposa.
Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi
che hanno una donna e qualcosa:
nei letti degli altri, già caldi d’amore
non ho provato dolore.
L’invidia di ieri non è già finita:
stasera vi invidio la vita.

Ma adesso che viene la sera ed il buio
mi toglie il dolore dagli occhi
e scivola il sole al di là delle dune
a violentare altre notti:
io nel vedere quest’uomo che muore,
madre, io provo dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l’amore.

Benedetto Spadaro